La tragedia dell’immigrazione e le responsabilità dell’Europa

Come verrà ricordata l’epoca in cui viviamo? Quali responsabilità noi europei contemporanei saremo chiamati ad assumerci di fronte alla storia? Me lo domando spesso davanti all’immigrazione di massa nel Mediterraneo. Un fenomeno epocale, difficilmente arrestabile con la forza, una tragedia biblica che parla delle contraddizioni e delle ingiustizie del mondo globale.

L’incapacità di farvi fronte è la prova del fallimento dell’Unione europea, segnala la necessità di rifondare il progetto su basi completamente nuove.

 

I governi italiani hanno fatto molti errori. Ma nessuno stato europeo ha le carte in regola per dare lezioni all’Italia. Né la Spagna, né la Francia, né gli altri. Chi chiude le frontiere e respinge i disperati con la polizia non può certo farci la morale. L’Europa ha lasciato sola l’Italia per molti anni. Non si è mai presa le proprie responsabilità. Non ha mai voluto affrontare seriamente il problema. Non ha mai voluto ragionare sulle cause profonde e sui rimedi possibili del fenomeno.

 

Perché milioni di esseri umani rischiano la vita per venire in Europa attraverso il mare? Le condizioni spesso disumane dalle quali fuggono non richiamano forse responsabilità storiche del ricco occidente che ha dominato e sfruttato a lungo il continente africano? Ora quei popoli ci presentano il conto e i nostri governi non sanno fare altro che chiudere le porte e scaricare le responsabilità. Se non affronteremo le cause profonde del grande esodo, aiutando i paesi africani più poveri a costruire condizioni migliori di vita, il fenomeno non avrà fine.

 

Nel frattempo serve una strategia per approntare i rimedi possibili. L’unico criterio valido è la condivisione delle responsabilità. Se ogni stato dell’Unione europea, in proporzione al numero degli abitanti,  per esempio si prendesse carico di una quota delle persone che ogni anno sbarcano sulle coste d’Europa, con seri programmi di accoglienza e integrazione, il fenomeno sarebbe gestibile.

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